Contratto di servizio, oggi la politica ha la possibilità di “alzare la palla”

0 0

La discussione sul nuovo Contratto di servizio per la Rai (2013 – 2015) può diventare l’occasione per un ragionamento innovativo sul futuro del servizio pubblico? Da mercoledì si è cominciato a parlarne in Vigilanza. Ma sapranno i partiti  prendere sul serio questo documento, normalmente lasciato alle burocrazie ministeriali e aziendali? E’ importante che lo facciano: questo Contratto è propedeutico al rinnovo della Convenzione con lo Stato. In gergo sportivo, si potrebbe dire che oggi la politica  ha la possibilità di “alzare la palla”! Associazioni come la Fondazione di Vittorio, come Articolo 21, lo hanno già fatto. Questo sabato a Roma, lanceranno una sfida: viviamo in “un panorama sempre più dominato dalla “rete che avvolge tutto il mondo”, un territorio popolato da  oltre due miliardi di cittadini”.

Ebbene può – in questo contesto – la Rai restare ferma? Come deve cambiare? C’è in ballo l’assetto legislativo, la governance, la struttura organizzativa.  Peccato che se si leggono i 24  articoli del Contratto preparato dal vice ministro Catricalà e alcuni dirigenti Rai, questa ambizione di volare alto non si trova. Manca il respiro, la visione necessaria per incominciare  a costruire da subito il passaggio della Rai da broadcaster a Media company. Peggio!

Ci sono articoli che se non fossero bocciati dalla Vigilanza rischierebbero di mettere in discussione la vita stessa della Rai.

Primo. Si parla di una consultazione pubblica, tipico strumento delle authorities per preparare una gara. Che cosa vuol dire? Che Catricalà ha in mente di mettere a gara la concessione del servizio pubblico? Vuole forse aprire le porte  all’ipotesi di una privatizzazione? Se non è così il vice ministro farebbe bene a chiarire e a dire: la consultazione serve solo ad approfondire il tipo di missione che la Rai dovrà avere nel mondo digitale.

Secondo. Perché si parla di “generi predeterminati” e non sono previsti i programmi di intrattenimento? Forse che Ballando sotto le stelle – un format della Bbc – è servizio pubblico a Londra e non lo è a Roma?

Terzo. Che senso ha chiedere alla Rai di specificare “all’inizio, alla fine o nel corso di ciascuna trasmissione” che quello che il telespettatore sta vedendo è servizio pubblico? E’ il famoso bollino blu di cui si parlò alcuni anni fa,  un’idea scartata perché apriva il campo a polemiche al calor bianco. Quei programmi senza bollino che cosa sarebbero? Viene subito da pensare che ci sono parti del palinsesto Rai che una tv privata potrebbe benissimo fare. E allora perché non privatizzarla  del tutto? Peggio. Serve a spartire il canone fra Rai e alcune tv private?

Quarto. Perché dare potere al ministero di intervenire sul canone in base all’adempimento di quelli che il Contratto chiama programmi di servizio pubblico? E’ improprio e potenzialmente pericoloso che sia il governo ad arrogarsi questo  diritto.

Quinto. Sull’offerta multipiattaforma il Contratto resta vago. Non emerge alcuna volontà di traghettare il servizio pubblico dall’universo delle offerte lineari proprie del broadcaster verso un nuovo servizio pubblico cross mediale delle  comunicazioni. Si prefigura una Rai che fa tv e radio su nuove piattaforme ma nella logica tradizionale del broacaster limitandosi a “attività sperimentali” nei nuovi media partecipativi. Non c’è bisogno che Rai replichi le serie americane sull’ennesimo mezzo  diffusivo. Occorrerebbe invece estendere il servizio pubblico all’audiovisivo e offrirlo a chi la televisione non la vede più. E sono tanti, soprattutto fra le giovani generazioni. Che si esprimono in Rete, che abitano la Rete e che la Rai a oggi non conosce.  Se non in maniera pasticciata. Lo sapete che dispone di 560 siti (parola del Direttore Gubitosi)? Uno spreco! Sesto.

Da nessuna parte è previsto un piano di investimenti, come per altro si fa con ogni concessionaria. Ecco un’occasione per il recupero dell’evasione del canone (si parla di più di 500 milioni di euro), magari introducendo una norma  in un qualche “decreto del Fare”. Un Contratto di servizio senza l’obbligo di un piano di investimenti è poco serio! La riforma del servizio pubblico potrebbe diventare il capitolo di un nuovo welfare capace di dare ai cittadini quelle opportunità proprie della società dell’informazione. C’è o no ancora bisogno di un edificio pubblico, al servizio della  collettività, e che sia in grado di soddisfare moderne esigenze di comunicazione e di informazione pubblica da parte degli enti locali, dello stato centrale, della pubblica amministrazione? Facciamo un gioco: facciamo finta che Karl Marx sia vivo. Ebbene di che cosa pensate si preoccuperebbe il filosofo di Treviri? Sarebbe attento alla rivoluzione industriale o a quella digitale? Si concentrerebbe sulla catena di montaggio  o sulla catena globale del valore? Sarebbe più attento alla recinzione delle terre incolte o ai brevetti e ai copyright sui saperi comuni?  Marx non c’è. In compenso c’è Grillo! Ebbene non lascerei a lui e al suo presidente della Vigilanza, Fico, l’occasione di parlare del futuro della Rai.

* da Il Secolo XIX


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21