Lampedusa, gesto assordante che interroga. Sì alla riflessione sulle nuove ragioni del servizio pubblico proposta da Articolo21

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Papa Francesco all’inizio del suo pontificato, nella prima udienza generale,  ci ha consegnato un impegno: «Muoverci noi per primi ed andare incontro agli altri, verso le periferie del mondo, verso quelli che sono più lontani, che più hanno bisogno di consolazione, di aiuto». Ci chiediamo, da un’angolatura francescana cosa significhi questo appello, cosa significa francescanamente, ritornando ai non pochi e non rari episodi della vita del Santo di Assisi che proprio nella periferia della sua città amava incontrare gli ultimi: “Francesco, mentre un giorno calcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo; ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l’aiuto di Dio. E’ la leggenda sei tre compagni al capitolo 11 a descriverci questo incontro.

L’ Assisiate aveva compreso l’importanza e la necessità di stare accanto agli ultimi perché  l’episodio del lebbroso è l’incontro con gli ultimi, con gli emarginati , con gli esclusi, con gli invisibili. Si tratta di rendere a questi ultimi la loro dignità umana, sociale e spirituale. Francesco si colloca sul loro stesso piano, non li aspetta, non gli fa la carità, ma inizia condividere la loro stessa sorte facendosi ultimo con gli ultimi. Si mette accanto all’uomo, per sperimentarne la fraternità. Ecco allora che il viaggio a Lampedusa non può non ricordarci l’andare verso la periferia, l’andare incontro all’uomo di Francesco d’Assisi.

Il “silenzio” assordante di questi anni oggi diventa “gesto” assordante. L’incontro tra Papa Francesco e questi poveri ‘Cristi’, ricorda a tutti noi non solo l’esperienza del francescanesimo, ma anche un modo di essere e operare.  Questo percorso diventa il DNA di tutti i viaggi di papa Francesco: da quello di Cagliari a quello di Assisi e altri ancora. Per Papa non si tratta di insegnarci qualcosa ma di vivere quell’esperienza che Lui stesso vive e ha tracciato, nella sua prima enciclica Lumen Fidei : “…i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro. Avvicinandosi ad essi non hanno certo cancellato tutte le loro sofferenze, né hanno potuto spiegare ogni male. La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce…’

Concludo che non possiamo quindi non accogliere la proposta che pone il portavoce di Articolo21 per una riflessione sulle nuove ragioni del servizio pubblico, che potrà essere dedicato alla inclusione sociale politica e mediatica dei troppi mondi, oscurati, umiliati, abbandonati alla marginalità delle periferie vecchie e nuove.

http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/


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