La bellezza di Michele non migra più

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Michele s’era portato due zaini pesanti di cose buone. Forse ci stanno pure qui, ma quelle sono ancora vive del sole, del mare, della terra di Calabria. Lui doveva rientrare per lavorare perciò aveva lasciato giù sua moglie a godersi ancora qualche giorno di vacanza e l’affetto dei parenti. E dire che da un anno avrebbe potuto già essere in pensione, ma “la Fornero” (come usa dire, ma colpa sua non è) gliene aveva ancora rifilati due. Oggi, per salire da giù e per scendere da su, non basta più un solo treno, bisogna aggiungerne almeno altri due, un po’ sotto il sole di mezzogiorno e un po’ ben oltre la mezzanotte. E così i vecchi non gliela possono più fare a “salire” dai figli né a Natale né a Pasqua. Ma Michele non è ancora vecchio, anche se nonno e fra 4 mesi gli nasce il terzo nipotino, questa volta è femmina. Michele è un bell’uomo, sua moglie poi pare una ragazzina ché sembra sorella ai loro figli belli come loro.

E’ bellezza che arriva da molto lontano. Per arrivare ha dovuto aprirsi la strada da sola, trovarsi i passaggi, spostarsi massi, estirparsi rovi, nutrirsi se poteva e se c’era tempo, ma soprattutto sussurrare troppi sì quando avrebbe voluto urlare anche una volta sola, no. La famiglia di Michele è figlia di quella bellezza incontenibile: la leggi nel suo sguardo forte, fiero, luminoso. Quella bellezza l’hanno portata “su”.

Lui, per quanto quella strada era già assai spianata (ché la generazione prima ancora trovava “non s’affitta ai meridionali”: erano le nostre vergognose “banane”…) “giù” lasciò tutto l’amore ricevuto portandosi appresso solo il suo che aveva dentro: un mondo di piccoli grandi sogni e speranze nel cuore. Quando il medico gli riferì che però a quel cuore lì doveva stare severamente attento ha scelto di metterlo in subordine per proseguire a fare mancare nulla al suo mondo ora fatto di tantissimi piccoli grandi sogni realizzati e speranze ben riposte.

Saranno stati quei treni impossibili, quegli zaini pesanti, quel sole infernale dell’ora di pranzo incattivito nell’umidità del nord, quella camminata dalla stazione fino a casa per “disturbare” nessuno, quel lavoro che lo aspettava per avergli “rubato” ancora due anni…

 

Poco dopo Michele è morto nel suo giardino. La domenica s’è preso il suo cuore. Il corpo è tornato nel suo sole (buono), mare e terra di Calabria. Ma la bellezza che Michele (e tanti come lui) ha portato “su” è rimasta qui…


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