Non ha vinto B., hanno perso i suoi avversari

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L’anomalia italiana in Europa continua e si aggrava. La coalizione di centro-sinistra, formata dal Partito democratico e da SEL, ha prevalso di stretta misura alla Camera ma non ha conquistato la maggioranza al Senato per la forte rimonta del PDL e l’affermazione straordinaria di Grillo. E in questi tre aspetti ci sono le domande a cui rispondere dopo l’aspra campagna elettorale e il distacco sempre maggiore (o comunque molto forte) tra la società politica e quella italiana.  Come si spiega la rimonta di Silvio Berlusconi, l’uomo che ha governato per la parte maggiore il ventennio populista dal 1994 ad oggi e che ha condensato nel binomio sesso e danaro la formula sostanziale del suo governo sempre carico di promesse quanto vuoto di realizzazioni adeguate ai tempi difficili del ventunesimo secolo?
Per tre ragioni fondamentali, a mio avviso: la forza dei suoi media, le divisioni degli avversari a loro volta spesso personalisti come lui , il carisma purtroppo  ancora resistente presso le vecchie generazioni del Nord.

E il trionfo del populismo digitale e più moderno di Grillo?
La sua capacità di protestare per il livello e i perduranti criteri di selezione politica delle nostre classi dirigenti (non il merito ma la docilità e la sottomissione) e l’immissione di un numero rilevante di persone vergini dal passato nel nostro parlamento.
Sono elementi positivi da non  sottovalutare in un momento di così grave crisi economica, civile e morale della repubblica assediata dalle mafie, dalla debolezza dello Stato, dall’iperburocratismo che regge la pubblica amministrazione in ogni luogo. L’età populista non è finita e Berlusconi rischia di sopravvivere a sè stesso quando ormai non è in grado di ripetere neppure le sue formule miracolose.

Ma non ha vinto lui, hanno perduto i suoi avversari e sono loro, ai quali noi ci sentiamo -malgrado tutto- più vicini che devono riflettere sugli errori che hanno compiuto non soltanto negli anni di governo del centro-sinistra che pure ci sono stati (dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008, se non sbaglio) e sulla necessità di cambiare almeno in parte uomini e parole d’ordine per parlare a tutta la società e non soltanto ai propri partiti.
Se questo non avverrà, in questo e nel prossimo anno, correremo il rischio di vitalizzare di nuovo una destra che non è ancora riuscita a diventare degna dell’Europa e adeguata ai compiti difficili che attendono gli italiani a livello nazionale ed europeo.

Un famoso giornalista del primo Novecento, Luigi Barzini, scriveva molti anni fa  che l’Italia resta sempre uguale a sè stessa. Non so se sia un’espressione in  tutto vera ma certo, se è così, non c’è da stupirsi che Berlusconi sia ancora in campo, che Grillo attragga le grandi masse con un programma diciamo molto scarno e che il centro-sinistra non  riesca a prevalere e a convincere la maggioranza degli italiani  a  lavorare per ricostruire un paese peraltro semidistrutto dal populismo becero che ci ha governato dal ’94 al ’95, poi dal ‘2001 al ‘2006 e ancora negli ultimi tre anni.


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