Con lo stupro “arma di guerra”, un bollettino quotidiano di notizie oscurate

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Qualcosa è cambiato, dice la Associated Press. Dopo lo stupro di gruppo, brutale, del 16 dicembre, a New Delhi. E la morte della vittima, dopo due settimane di agonia. Una ragazza di 23 anni. Per privacy, in India non si è diffuso il suo nome. Le immagini, hanno mostrato il padre disperderne le ceneri. Ci sono segnali che qualcosa è cambiato da quel vile attacco. La gente è scesa in piazza. Le violenze sessuali, quasi sempre ignorate, sono diventate, in India, notizie da prima pagina. E i politici hanno invocato leggi più severe contro gli stupri di gruppo, compresa la pena di morte e la castrazione chimica per gli aggressori. Il governo si dice pronto a esaminare riforme su larga scala, anche di tipo penale, contro le aggressioni sessuali. Gli attivisti dicono che la tragedia può segnare un punto di non ritorno per i diritti delle donne in India.
A Delhi, in un Paese in cui i processi languono anni, il governo ha istituito un Corte speciale per i crimini sessuali, con un processo lampo contro i 5 stupratori della giovane donna (il sesto è minorenne), accusati anche di sequestro e omicidio, reato che prevede la pena di morte, in India. Un processo a porte chiuse: all’ autista dell’ autobus, luogo dove la donna è stata brutalmente picchiata e violentata, a suo fratello, che pulisce autobus per la stessa ditta, a un venditore di frutta, a un lava-bus, a un istruttore di fitness.
E si prevede di aprire altre quattro o cinque di queste Corti a New Delhi, una megalopoli di 16 milioni di abitanti e con una media di uno stupro ogni 18 ore, secondo le statistiche di polizia.
Ma la notizia della brutale aggressione, e della morte, di questa giovane donna, ha creato un’onda di sgomento che è andata oltre l’India. Mentre Sonia Ghandi, parlava della ragazza come di una figlia, con il dolore nel cuore, incontrando chi manifestava con rabbia, negli Stati Uniti lo sdegno correva via twitter
E la sua storia, rimbalzava in Italia. Simbolo, certo di una subalternità femminile intollerabile in India, ma anche simbolo di una realtà orribile che accomuna milioni di donne nel mondo.
Con le immagini, le notizie, sulle manifestazioni di rabbia e gli scontri che per giorni e giorni, hanno sconvolto l’India, anche noi abbiamo partecipato a quello sdegno. In quest’Italia, che scopre il femminicidio e comincia a trovare le parole per dirlo. Prende coscienza. E si ribella.
Oltre, non riusciamo ad andare. In Siria, di cui non si parla. E nel Nord Kivu, in Congo. O in Darfur….Con lo stupro “arma di guerra”, un bollettino quotidiano di notizie oscurate. Cinquantamila quelli commessi in Bosnia negli anni Novanta, con solo 30 persone condannate, e lo abbiamo già dimenticato. Piaga, flagello a cui si è rassegnati. O peggio, rimosso, e avvolto dal buio dell’informazione.
Tragedia su cui ha acceso i riflettori il governo Cameron, nella data simbolo dello scorso 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, inserendo l’eliminazione dello stupro come arma di guerra, tra gli obiettivi della sua presidenza del G8 nel 2013.
India, Italia. L’Italia che non si interessa alle guerre. E che vorrebbe ignorare quella che ha dentro casa. Poco ascoltate le parole di Rashida Manjoo, la Special Rapporteur dell’Onu per il contrasto della violenza alle donne: “In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale”. Un crimine di Stato, lo ha definito, per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono discriminazioni e violenza durante la loro vita.
In Italia, la sensazione è che sia ancora solo un affare di donne. Donne le vittime, donna chi lotta per fermare questa guerra al corpo delle donne. Uomini, come sempre, non pervenuti, da questa parte della barricata. E non c’è da stupirsi che il problema non sia cruciale abbastanza da inserirlo in un’Agenda. Che vorrebbe salvare l’Italia. Del resto, è un affare privato, piccole cose senza importanza.


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